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Presentazione del volume patrocinato dall’Accademia Georgica Nicotiana Tabacum. La produzione di tabacco nelle Marche del XX secolo: Il caso dei Mastrocola di Loro Piceno, di G. Alimenti e S. Pasquali, Loreto, Tecnostampa, 2014.

7 dicembre 2014 ore 18:00, presso Palazzo Mastrocola a Loro Piceno

Nel quinto libro della Naturale et generale historia dell’Indie a’ tempi nostri ritrovate, dettagliata opera sul Nuovo Mondo redatta da Gonzalo Fernández de Oviedo e riportata dal Ramusio nel terzo volume delle sue Navigationi et viaggi (1556), si rintraccia una precoce e singolare citazione del tabacco il quale ci viene presentato nei seguenti termini: «Usavano gli Indiani di quest’isola, fra gli altri loro vizii, un costume molto cattivo: ed era questo che prendevano certi fumi per il naso, che loro chiamano tabacco, per uscire dei sentimenti. Et lo facevano col fumo d’una certa herba che, per quello che n’ho potuto intendere, è della qualità dell’iusquiamo» (cioè l’hyoscyamus niger). L’aspetto della pianta tuttavia differisce molto da quello del giusquiamo poiché «ha un piede di quatto o cinque palmi alto, e ha le foglie larghe e grosse e molle e pelose, e il suo verde pende alquanto al colore della buglossa». Singolare per un europeo quale l’Oviedo il modo di utilizzarla: «i cacichi e persone principali haveano certi bastoncelli bucati e della grandezza d’una spanna, e fatti a questo modo, perché da una parte ha duo cannoncelli che amendue rispondono ad uno, e sono tutti d’un pezzo, Li duoi buchi dell’una banda si ponevano alle narici del naso, e il buco opposito ponevano nel fumo di quella herba posta al fuoco ad ardere; e per questa via attraevano a sé il fumo, e lo facevano una e due e tre e più volte, quanto più potevano durarvi, finché restavano senza sentimenti, stesi per gran spatio di tempo in terra, addormentati d’un grave e profondo sonno (..) E questi stromenti co’ quali prendono il fumo è chiamato Tabacco dagl’Indiani, e non l’herba o il sonno che nasce, come credevano alcuni».

Curiosità, esotismo, interesse scientifico, si intrecciano e si fondono nelle conoscenze iniziali che il Vecchio Continente sviluppa attorno allo stravagante costume degli amerindi prima ancora che sull’essenza botanica la quale, nel volgere di qualche decennio, comincia a diffondersi in tutta l’Europa.

Proprio una sorta di indefinitezza d’uso della pianta, derivante dalle troppo vaghe conoscenze in merito, concorre a giustificarne la presenza nei giardini aristocratici come pure negli orti monastici o in piccoli coltivi, ora a scopo ornamentale, ora farmaceutico o terapeutico oppure per soddisfare il desiderio dei primi estimatori che ben presto divengono una vera moltitudine catturata dal piacere di fiutarne l’effluvio. A fronte si destano le preoccupazioni degli uomini di governo verso una coltivazione non destinata a soddisfare i bisogni vittuari, come pure si levano alti e severi i giudizi dei moralisti nei confronti di una pratica ritenuta in certo qual modo strana.

Il diffondersi della moda di “pigliar tabacco” ha come ovvia conseguenza l’estendersi della coltivazione, che da subito viene a connotarsi per lo spiccato ruolo territoriale ed economico che assume, prestandosi al contempo alla fiscalizzazione e alla lavorazione manifatturiera. Per il primo aspetto sono emblematiche le vicende di quella singolare entità che fu la Repubblica di Cospaia, costituitasi nell’Alta valle del Tevere sulla base di un equivoco nell’accordo confinario fra Stato Pontificio e Ducato di Toscana, la quale, dall’ultimo quarto del XVI secolo all’età napoleonica, fondò la propria forza economica sulla possibilità di coltivare e commercializzare il tabacco fuori dalle disposizioni di monopolio. Per le connessioni con la protoindustria sembrano significative le vicende che nello Stato Pontificio vedono la prima manifattura costituirsi a Fano, nel secondo decennio del Settecento, cui seguono gli opifici di Roma e di Chiaravalle.

L’interesse scientifico e fisiocratico per una specie botanica che sotto il profilo agronomico risulta essere chiaramente una sarchiata industriale - pertanto con implicite potenzialità di commercializzazione con un valore aggiunto - sollecita un vivace dibattito al quale l’Accademia Georgica di Treia non manca di fornire il proprio contributo dedicando alla tabacchicoltura due articoli nel proprio organo di comunicazione ufficiale, il “Giornale delle arti e del commercio”. L’argomento torna poi ad essere affrontato il 28 aprile 1783 in occasione della pubblica lettura della “Memoria sulla coltivazione del tabacco e sulla vera maniera di prepararlo” tenuta dall’Abate Giuseppe Donati e il cui testo è presente nell’Archivio degli Accademici.

Spiccata è dunque l’attenzione che la più antica Accademia Agraria dello Stato Pontificio riserva alla tabacchicoltura e ai connessi risvolti economico-fiscali, salutistici e di costume, né poteva essere altrimenti se solo ci si sofferma a considerare il riguardo che aveva dimostrato di avere verso tale coltura l’occhio vigile del più convinto e potente sostenitore della Georgica, papa Pio VI il quale nel 1778 aveva concesso a Joannes Wendler, tedesco esperto nella concia del tabacco, la privativa di formare una nuova e moderna manifattura in Roma in sostituzione di quella creata al Gianicolo da Benedetto XIV.

E’ quindi con grande compiacimento che l’Accademia Georgica plaude al presente volume rintracciandovi una ideale linea di continuità con i propri interessi di studio della prima ora. Opportunamente gli autori danno spazio alla complessa vicenda storico-economica che in età moderna viene a ordirsi attorno a tale sarchiata fornendoci argomenti e dati quantitativi sulla sua produzione ed estensione colturale. Ma è senza dubbio l’età contemporanea quella che registra i progressi maggiori in termini di raccolto, lavorazione industriale e cespiti che, pur in diversa misura, arrivano a larghi strati della popolazione, al punto di meritare al tabacco l’appellativo di “oro verde”. Tra Otto e Novecento sì moltiplicano le varietà messe a dimora, preferendosi quelle pregiate e più idonee. Un tale fervore investe anche le Marche, nel cui paesaggio agrario la presenza del tabacco era rimasta circoscritta ad alcuni areali. Nonostante le aspirazioni delle comunità locali a giovarsi dei vantaggi economici che possono derivare dalla tabacchicoltura, al fervore non si accompagna una sostanziale estensione del coltivo, anche per le cause che lamenta il prof. Luigi Guidi nelle risposte fornite ai redattori dell’Inchiesta Jacini sull’area pesarese: «La provincia non è compresa fra quelle alle quali è conceduto il monopolio della coltivazione del tabacco» pur se «da alcuni tentativi fatti dal direttore del laboratorio di chimica agraria risulta che il terreno è adatto, e che il tabacco acquista il pregio non comune di essere combustibile». Di contro il sottocomitato di Macerata preposto alla suddetta Inchiesta deplora «le esigenze fiscali ritenute soverchie» e «la responsabilità dei proprietari nelle frodi eventuali tentate dai coloni» quali cause limitative per la diffusione della pianta. Un complesso di voci concordi si innalza in quel torno di anni e al coro si unisce il Prefetto di Ancona: nello stilare il rapporto per l’anno 1887 al Ministro degli Interni egli annota che nella provincia la coltura del tabacco poggia su 2.323.050 piante e «il Comune di Jesi è quello che dà maggiori quantità di piante e cioè per 1.270.400. Contuttociò i proprietari si lagnano delle soverchie fiscalità (…) affermano che si vuol sopprimere tale coltivazione ed anche la fabbrica di Chiaravalle».

Con l’avanzare del XX secolo, pur in un contesto segnato da plurime difficoltà la tabacchicoltura si avvia a diventare parte della storia delle aziende agrarie marchigiane e di figure di possidenti determinati a renderla volano di sviluppo per il mondo rurale. Bene dunque hanno fatto Giacomo Alimenti e Stefano Pasquali a cimentarsi nella ricerca che oggi addiviene alle stampe consentendoci di conoscere la vicenda imprenditoriale della famiglia Mastrocola che lungo tutto il secolo ha vivacizzato l’area lorese ma specialmente nel trentennio compreso tra il 1947-1977 quando portò in auge una dinamica azienda preposta alla coltivazione del tabacco e alla produzione di semi di tabacco per uso industriale. Intuitive e notevoli le ricadute occupazionali ed economiche per il territorio di Loro Piceno e non solo. In quell’arco di tempo profondamente segnato dal processo di superamento della mezzadria quell’esperienza ebbe l’indubbio merito di avvicinare gli agricoltori a strumenti e macchinari nuovi, innalzandone le competenze e soprattutto sollecitandone l’iniziativa personale. Sono dunque quelle che seguono pagine di storia e di agricoltura insieme, una storia molto lunga e che negli ultimi decenni ha visto pressoché sparire il tabacco, sarchiata idroesigente e pertanto oggetto di nuove valutazioni anche di ordine ambientale. Non cade però la memoria e neppure l’impulso che quell’esperienza imprenditoriale ha dato al territorio, come potrà personalmente ricavare il lettore di queste pagine.

 

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